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Il Lago

di Jiddu Krishnamurti

 

Il lago era molto profondo, circondato da scogliere altissime su entrambi i lati. Si poteva vedere la riva opposta, coperta di boschi, e verdeggiante del fogliame nuovo della primavera; quel lato era più scosceso, forse più denso di foglie, e fitto di alberi. Quella mattina, l’acqua era placida, di un colore blu-verde. E un lago molto bello. C’erano cigni, anatre, e di tanto in tanto passava qualche imbarcazione carica di passeggeri.

Mi trovavo a riva, in un parco ben curato, molto vicino all’acqua. Non c’era traccia di inquinamento, e la sua forma e la sua bellezza sembravano entrarmi dentro. Li si poteva odorare — l’aria dolce e fragrante, il prato verde — e mi sentivo tutt’uno con la natura, in movimento con il lento scorrere della corrente, con i riflessi e la quiete profonda dell’acqua.

La cosa strana era che questa grande sensazione di affetto non la sentivo per qualcosa o per qualcuno in particolare; era la pienezza di quello che si potrebbe chiamare amore. L’unica cosa che conta è sondarne le profondità, non con la piccola e sciocca mente che non fa che rimuginare pensieri, ma con il silenzio. Il silenzio è l’unico mezzo, l’unico strumento che può penetrare qualcosa che alla mente, così tanto contaminata, sfugge.

Noi ignoriamo che cosa sia l’amore. Ne conosciamo i sintomi, il piacere, il dolore, la paura, l’ansia, e così via. Cerchiamo di risolvere i sintomi, e questo si trasforma in un brancolare nel buio. Lo facciamo notte e giorno; poi tutto finisce con la morte.

Mentre ero in piedi sulla riva e contemplavo la bellezza dell’acqua, tutti i problemi e le istituzioni umane, quel modo degli uomini di vivere in rapporto tra loro, che è la società, tutto trovava la sua giusta collocazione se, in silenzio, si riusciva a penetrare in questa cosa chiamata amore.

Ne abbiamo parlato a lungo. Tutti i giovanotti dicono di amare una donna; il prete dice di amare il suo Dio, la madre i suoi figli, e naturalmente questo fa il gioco dei politici. Abbiamo veramente rovinato il mondo e lo abbiamo riempito di una sostanza insensata, la sostanza dei nostri piccoli e angusti sé. In un contesto così angusto e ristretto, andiamo in cerca dell’altra cosa, ma poi torniamo dolorosamente alla confusione e all’infelicità di tutti i giorni.

Ma l’altra cosa era là, nell’acqua, tutt’intorno a me; era sulla foglia, era nell’anatra che stava cercando di inghiottire un grosso pezzo di pane, nella donna che camminava zoppicando. Non era un’identificazione romantica o un’abile razionalizzazione verbale. Era là, reale come l’automobile, come la barca.
E l’unica cosa che darà una risposta a tutti i nostri problemi. No, non una risposta, perché in quel caso non ci sarebbero problemi.

Ogni volta che descriviamo qualcosa nascono problemi, che noi cerchiamo di risolvere senza quel tipo di amore, e così i problemi si moltiplicano e si ingigantiscono. Non esiste un modo per avvicinarsi all’amore o per afferrarlo, ma a volte, se vi fermerete sul ciglio di una strada o presso un lago a guardare un fiore, un albero, o un contadino che lavora la terra, e se rimarrete in silenzio, senza fantasticare, senza lasciarvi andare a sogni a occhi aperti, senza sentirvi annoiati, se rimarrete in compagnia del silenzio in tutta la sua intensità, forse sarà lui a venire da voi.

Quando viene non cercate di trattenerlo, non custoditelo come un’esperienza. Una volta che vi avrà toccato non sarete più gli stessi. Lasciate che ad agire sia lui, non il vostro desiderio, la vostra rabbia o la vostra giusta indignazione sociale. L’amore è veramente selvaggio, non addomesticato, e la sua bellezza è tutt’altro che rispettabile.

Ma noi non lo vogliamo, perché abbiamo la sensazione che sia troppo pericoloso. Noi siamo animali addomesticati, e ci aggiriamo in una gabbia che ci siamo appositamente costruiti, con le sue polemiche, le sue liti, i suoi politici impossibili, i suoi guru che sfruttano in maniera molto raffinata, o meglio, crudele, l’immagine che noi coltiviamo di noi stessi e quella che loro hanno di sé.

Nella gabbia potrà regnare l’anarchia oppure l’ordine, che di volta in volta dà luogo al disordine; è stato così per molti secoli: esplosioni e ricomposizioni, cambiamento degli schemi della struttura sociale, che forse qua e là hanno messo fine allo stato di indigenza. Ma se per voi le cose più importanti saranno queste, perderete le altre.

Rimanete soli, di tanto in tanto, e se siete fortunati l’amore verrà a voi su una foglia che cade, o dalle distanze di un albero solitario in mezzo a un campo vuoto.

 

 

 

 






 

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